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Il Bari è salvo, infine

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Il Bari è salvo, infine

Messaggioda koma » ven mag 24, 2024 18:18


Fonte https://www.ultimouomo.com/salvezza-bari-di-cesare-ternana/

Il racconto di una stagione assurda conclusa in modo incredibile.

Quando viene interrogato sugli effetti della stagione precedente nella gestione di questo campionato, Valerio Di Cesare pare disorientato. «Per me quella giornata (la finale playoff dell’11 giugno, ndr) te la porti dietro ancora, vuoi o non vuoi te la porti dietro» accenna. Scuote la testa quasi a voler cancellare la realtà, mastica qualche altra parola distogliendo lo sguardo, poi si blocca. Una conferenza stampa fino a quel momento lineare, in cui Di Cesare aveva provato a chetare l’ambiente dopo l’ennesimo ribaltone tecnico stagionale, presenta un buco, un momento di stallo inatteso. Con gli occhi gravidi di lacrime e il volto segnato dalla commozione Di Cesare si alza, saluta i giornalisti e tra gli applausi abbandona la sala stampa.


In quel momento il Bari sta preparando la partita contro il Cosenza, un match di capitale importanza per la corsa alla salvezza. Dopo 34 giornate i biancorossi sono in piena zona playout a 36 punti, uno in meno della Ternana momentaneamente salva e tre in meno del Cosenza posizionato appena sopra gli umbri. Di Cesare ha 40 anni, è da 6 anni il capitano del Bari, nel 2018 ha scelto di tornare in Puglia nonostante il fallimento e la ripartenza dalla Serie D. Voleva salutare il calcio completando l’ascesa, ma il fato, sotto forma di Pavoletti, si è opposto, e adesso è in trincea per evitare di tornare al punto di partenza.



Nei match della seconda metà di stagione del Bari c’è una costante a cui la gara del Marulla non fa eccezione: per la quinta volta nelle ultime nove partite, il Bari va in svantaggio nei primi 5 minuti di gioco. La partita sarà un calvario lungo 95 minuti, per il Bari e per i tifosi, che accorsi in massa per assiepare il settore ospiti del Marulla vedranno la propria squadra liquefarsi. Il 4-1 finale fa precipitare il Bari in zona retrocessione diretta per la prima volta in stagione, a tre giornate dal termine della regular season.



Eppure, la stagione era cominciata con ben altri obbiettivi. Almeno stando alle parole del numero uno biancorosso Luigi De Laurentiis, che nella conferenza stampa di presentazione della stagione 23/24 aveva rilanciato (parzialmente) le ambizioni della squadra: «Quest’anno vorrei puntare ai playoff, tutto ciò che verrà oltre sarà premiante per noi e per la piazza». De Laurentiis parla misurando anche le sillabe, placido e distaccato, facendo riferimento a un famigerato piano triennale che prevede, dopo il ritorno in Serie B al termine della stagione 2021/22, l’assalto alla massima categoria al culmine di un percorso di assestamento nella seconda serie.



Intanto Bari macerava nella frustrazione per aver visto sfuggire la Serie A a 120 secondi dal fischio finale della finale playoff e manifestava la propria avversione nei confronti di una proprietà mai digerita. Ad acuire questo sentimento c’era stata la scelta della società di chiudersi a riccio nel mese successivo alla notte dell’11 giugno, dando adito a speculazioni di ogni tipo sul futuro tecnico e gestionale del Bari.



Quando De Laurentiis si presenta ai microfoni il ritiro è alle porte, la campagna acquisti non decolla e il patrimonio tecnico sviluppato e modellato da Michele Mignani è ormai depauperato. Tra prestiti terminati (Esposito, Benedetti e Folorunsho) e cessioni annunciate (Cheddira e Antenucci) il Bari ha perso gran parte del proprio potenziale offensivo, nello specifico 48 dei 60 gol realizzati nella precedente annata. Il presidente dichiara che i proventi delle cessioni di Cheddira e Caprile verranno reinvestiti per migliorare la squadra, ma intanto la preparazione della stagione procede in modo approssimativo: la rosa è incompleta, l’unica amichevole contro una squadra professionistica viene annullata (e non rimpiazzata) per motivi di ordine pubblico e mister Mignani, seppur glissando quando sollecitato sul tema mercato, inizia a covare un certo risentimento.



Mentre il direttore sportivo Ciro Polito è impegnato a fare i conti della serva per formalizzare gli acquisti necessari, la stagione inizia. Siamo ad agosto inoltrato quando il Palermo fa visita al Bari. Si gioca di sera, ma il caldo è soffocante e condiziona una gara pazza, di quelle a cui non sai quanto peso dare perché dominate dal caos. «È stata una partita epica. […] I ragazzi ci hanno messo cuore e attributi» dice Mignani commentando lo 0-0 finale conquistato nonostante oltre 20 minuti in doppia inferiorità numerica e un finale giocato in 8 per l’infortunio al ginocchio rimediato da Menez. È la prima giornata e i tifosi del Bari si sentono come il Capitano Haddock.



L’ultimo ventennio ha posto i baresi dinanzi a sfide improbe, come se il loro destino fosse un esperimento nelle mani di uno sceneggiatore spietato. Come metabolizzare una retrocessione, quella dalla A alla B del 2011, inquinata dal calcioscommesse? E l’autogol volontario di un tuo calciatore in un derby? Impossibile verrebbe da dire, ma nonostante ciò a Bari non si è mai smesso di aspirare a un futuro grandioso, sbandierando l’amore per la maglia come se vittorie e traguardi sportivi fossero solo un’appendice di valori più intimi come la fedeltà incondizionata o la presenza costante al fianco della squadra. “Arriveranno tempi migliori†si dice sempre in città, e con questa illusione infantile, che ti culla nei periodi burrascosi, coinvolgere e ricreare entusiasmo diventa più semplice. Basta un cambio di proprietà tanto agognato e una squadra sanguigna per riempire i petali del San Nicola fino a farlo esondare.



Alessandro Gazzi, in uno pezzo intitolato “Una meravigliosa anomaliaâ€, si domandava come mai una squadra con un bacino di appassionati così ampio non riuscisse a fare breccia ai piani alti. La risposta è forse nell’incapacità di attirare grandi investitori. Dalla meravigliosa stagione fallimentare, quella raccontata da Mario Bucci nel celebre documentario, al fallimento del 17 luglio 2018 sono trascorsi appena quattro anni. Un quadriennio in cui si è intravista la luce e si è riscoperta la parola ambizione, ma con un alone di mistero ad avvolgere ogni movimento societario.



I De Laurentiis, a cui viene assegnato il titolo sportivo dopo il fallimento della FC Bari 1908 guidata da Cosmo Giancaspro, dovevano garantire stabilità e programmazione, riportando il modello Napoli anche a Bari. Per farlo avrebbero dovuto sconfiggere le diffidenze di una piazza contraria all’idea della multiproprietà, ma disposta a offrire una tregua pur di riemergere dall’anonimato il prima possibile.



Dopo un altro pareggio casalingo contro il Cittadella, la tregua, messa comunque a dura prova nel corso degli anni, sembra essere terminata. La Curva Nord disapprova la gestione del mercato e invita la società a non scherzare con la fedeltà incondizionata mostrata nel corso degli anni. La campagna acquisti, però, si conclude senza particolari sussulti: arriva un Aramu svaporato per compensare la lunga assenza di Menez, Acampora in prestito dal Benevento retrocesso in C e Ismail Achik dall’Audace Cerignola, il cui acquisto per una cifra vicina ai 300.000 mila euro sarà l’unica operazione a titolo definito effettuata dal Bari nel corso dell’intera sessione di mercato.



È il 9 ottobre 2023 quando un pareggio deprimente rimediato a Reggio Emilia segna la fine del percorso di Michele Mignani a Bari. A suo carico c’è un rendimento deludente (7 pareggi, 1 vittoria e 1 sconfitta in 9 partite) e un’impostazione tattica non in linea con le idee del direttore sportivo Ciro Polito. L’ex portiere aveva condotto la campagna acquisti nel segno di una rivoluzione: addio al modulo a due punte tanto caro al mister per puntare su un attacco a tre frecce. Mignani non sembrava in grado di assecondare le volontà del direttore, che dunque opera una scelta dolorosa ma a suo dire necessaria. Il casting per il successore dura poco: dal cassetto dei ricordi del calcio italiano riemerge Pasquale Marino, legato a Polito per averlo fatto esordire in Serie A a Catania. Marino è fermo da due anni, ha inanellato diversi esoneri e le ultime esperienze parlano di un allenatore senza più gli strumenti, tattici e relazionali, per adattarsi al calcio moderno. Il direttore è però convinto della sua scelta: «A Pasquale Marino affido la mia vita… sportiva ovviamente».



Nella partita d’esordio contro il Modena, forse per sua convinzione o probabilmente per accontentare colui che gli aveva concesso una grande occasione per rimettersi in gioco, Marino dispone il Bari con il 433. L’interpretazione delle due ali è parossistica: ad Aramu e Sibilli, tutt’altro che esterni puri, viene richiesto di pestare la linea laterale, a 60 metri di distanza l’uno dall’altro. L’esperimento dura 45 minuti e dalla partita successiva Marino si rintana in un pragmatico ed apparentemente confortevole 352. Il Bari è più organico e ordinato, ma denuncia cali mentali quasi inspiegabili. A Salò si fa rimontare due gol, poi crolla contro il Venezia e perde anche in casa dell’ultima in classifica. Marino non molla, e rilancia: «Dobbiamo avere il coraggio di giocare il nostro calcio sbarazzino» ma il suo Bari fa 0 punti anche a La Spezia.



Tra le frange più fedeli del tifo organizzato la contestazione verso la società cresce. Dalla curva si alzano cori verso Luigi De Laurentiis: il tono è ancora canzonatorio, ma la spaccatura tra le due parti è sempre più netta. Mentre alla squadra viene concesso ancora del credito e al direttore l’opportunità di rimediare ai primi errori compiuti dopo un biennio quasi perfetto, la famiglia De Laurentiis diventa il nemico disegnato su cui riversare il livore accumulato dalla notte dell’11 giugno in poi.



Dal canto loro i De Laurentiis non fanno nulla per attenuare il conflitto, anzi. Se Luigi sposa la linea del silenzio misto a strafottenza, Aurelio straparla come se avesse perso i freni inibitori. Nel tentativo di difendere il proprio lavoro con il settore giovanile a Napoli, definisce Bari una seconda squadra portata alle soglie della Serie A da cui sono emersi giocatori forti ora di proprietà del Napoli (Caprile, Cheddira, Folorunsho). Le parole di De Laurentiis, perfide come bucature di spillo, arrivano nel pieno della seconda crisi tecnica stagionale. Dopo una sconfitta inappellabile a Palermo, animata dal caos generato dall’assenza di due dei migliori giocatori in rosa – Ricci e Sibilli – per una lite in allenamento, anche Pasquale Marino viene messo alla porta. Con il tecnico di Marsala i problemi della squadra sono rimasti immutati, anzi, si sono accentuati: produzione offensiva sterile, sviluppo della manovra prevedibile e difesa sempre più perforabile.



Le candidature per il successore, a questo giro, sono diverse. Cannavaro è il preferito di Polito, ma la piazza mugugna e il direttore non può più permettersi scelte impopolari. Inoltre Cannavaro è legato alla drammatica retrocessione del Benevento maturata l’anno prima, un parallelismo che inquieta i tifosi del Bari. Si dice che per la scalata al Colle non servano più voti, ma meno veti, e la situazione per diventare allenatore del Bari, ad inizio febbraio, non è dissimile. Anche la proprietà, solitamente estranea alle decisioni tecniche, inizia ad annusare il pericolo: dopo 23 giornate il Bari è 15esimo, appena fuori dalla zona playout con un margine di soli 5 punti sull’Ascoli 16esimo. La decisione è quella di investire su un allenatore con un lignaggio importante in grado di mettere d’accordo tutti, Beppe Iachini.



Luigi De Laurentiis presenzia alla prima conferenza stampa del nuovo allenatore. Ha le occhiaie così marcate da sembrare disegnate a matita, cerca di parare i colpi dei giornalisti e di tamponare l’emorragia generata dal padre, ma l’eloquio è meno fluido, forse insicuro, e le argomentazioni fornite perdono man mano vigore. «Questo è l’anno più difficile, ma non mi arrendo davanti a nulla» asserisce, mentre confinato ad un angolo Ciro Polito ascolta impassibile. Il direttore, con le spalle curve quasi a volersi accartocciare su sé stesso, pare sfibrato dalla tensione, come se del Polito che fino a pochi mesi prima si presentava tronfio e radioso in conferenza stampa fosse rimasto solo un guscio vuoto.



Dopo aver costruito la squadra vincitrice del campionato di Serie C e averla puntellata quel tanto che bastava per sfiorare la vetta del campionato di Serie B, Ciro Polito ha preso un abbaglio dopo l’altro. Ad ogni intuizione brillante avuta nel 2022/23 ha fatto seguito un errore marchiano nel 23/24: il sostituto di Elia Caprile, Brenno, si è rivelato non all’altezza della categoria; l’erede di Walid Cheddira, Davide Diaw, si è dileguato a metà stagione per un problema alla schiena mai chiarito e ha concluso la stagione con due gol all’attivo. Discorso simile per i sostituti di Folorunsho e Benedetti, propulsori del Bari 2.0 di Mignani ed in alcun modo rimpiazzati dai vari Edjouma, Acampora e Koutsoupias. Fellini scherzando diceva che commettiamo così tanti errori d’estate da meritare un inverno di pentimento, per Ciro Polito le conseguenze si protrarranno fino alla primavera.



Iachini imbraccia il kit di primo soccorso, effettua un paio di bendaggi e riporta la squadra in linea di galleggiamento con due vittorie pesanti. Il campo non suggerisce sensibili progressi, ma tanto basta per ridestare un popolo immerso in uno stato catatonico. «Dobbiamo far tornare il cielo sereno su Bari» auspica Iachini e come per magia, nella settimana che porta alla trasferta di Bolzano contro il Sudtirol, tra le vie della città ricomincia a circolare la parola playoff, seguita da un ‘e poi chissà, quella è una lotteria’ sussurrato a mezza bocca. La schizofrenia che permea ogni stagione del Bari si sposa alla perfezione con l’andamento del campionato di Serie B, sempre aperto ad insospettabili rimonte o ad inattesi tracolli. Il Bari è la quarta squadra con più partecipazioni al campionato di Serie B (48), un numero sufficiente per giustificare il legame tra sentimenti della piazza e natura della competizione. La stagione 2023/24, però, non si presta a miracoli.



A Bolzano il Bari perde disputando una non-partita e tre giorni dopo viene soffocato dalla vitalità del Catanzaro. Prima dell’ultima sosta per le Nazionali è in programma un Bari-Sampdoria atteso più di 10 anni dalle tifoserie gemellate. L’elettricità nell’aria è ad altissimo voltaggio, ma la festa sugli spalti non attenua la tensione in campo. La Sampdoria annusa la zona playoff, mentre il Bari ha conquistato un solo punto nelle ultime 4 partite e ristagna nei bassifondi. La distanza dai playout si è ulteriormente assottigliata, i punti di vantaggio sono solo 4, e dopo la sosta i biancorossi sono attesi da un calendario quasi proibitivo. Il Bari impatta bene il match, si fa preferire, ma il gol non arriva. Il secondo tempo presenta il conto di un primo giocato ad alta intensità, e lo 0-0 sembra trascinarsi senza sussulti. Poi un lampo: al 70’, Benali, insolitamente in area di rigore, sponda per Puscas posizionato poco oltre il dischetto del rigore. Il tiro del numero 47 impatta il braccio alto di Ghilardi, l’arbitro non ha dubbi nel fischiare il fallo. Dagli 11 metri si presenta Giuseppe Sibilli, miglior marcatore nonché miglior giocatore del Bari in stagione. Ha da poco raggiunto la doppia cifra per la prima volta in carriera dopo una giovinezza passata a vivacchiare in B alternando colpi d’autore a lunghi periodi di magra. A Bari si è riscoperto più continuo, sotto porta più affilato ma è sulla trequarti che fa la differenza. Nel rugby lo definirebbero un ball carrier, uno che conduce palla per tanti metri. Sibilli lo fa senza perdere mai velocità, con un incedere pesante ma deciso. Il suo è un calcio quantitativo da cui ricava estemporanee giocate di qualità, a cui il Bari si è aggrappato per tutto l’arco del campionato.




Dopo una breve rincorsa calcia con il destro, il tiro è angolato, abbastanza potente, ma a mezza altezza. Filip Stankovic, figlio di Dejan, intercetta la conclusione e mantiene il punteggio in parità. Il modo in cui la paura, da quel momento in poi, attanaglia i calciatori del Bari è visibile ad occhio nudo. La squadra si abbassa: perde 5, 10, 15 metri. Un contropiede improvviso, frutto più del caso che di una chiara intenzione di offendere, regala a Puscas il match point, ma il suo destro impatta la traversa e quasi la piega. «Sapevo che chi avrebbe segnato per primo avrebbe vinto la partita» svela Pirlo dalla pancia del San Nicola, e tutti dopo la traversa di Puscas intuiscono che a fare quel gol sarà proprio la Sampdoria. Il gol di Kasami, giunto quando il Bari è ormai arenato nella propria metà campo quasi ad attendere la punizione divina per le occasioni mancate, è accolto con un certo fatalismo dai tifosi del Bari: «L’anno prossimo faremo il derby con l’Altamura (città dell’entroterra barese la cui squadra è stata appena promossa in C, ndr)… purtroppo è cosi» dice uno dei tanti ai microfoni di un’emittente locale. Da dietro le avversarie rosicchiano altri punti: i playout adesso distano solo due lunghezze.



Mentre il margine sulla zona playout si assottiglia settimana dopo settimana, anche la posizione di Beppe Iachini inizia a traballare. Se c’è una lezione che i tifosi del Bari si porteranno via da questa stagione è che bisogna sempre diffidare dagli allenatori che rievocano costantemente i propri trionfi passati. Marino lo faceva timidamente, Iachini è più sfacciato: appena possibile srotola il suo curriculum ricordando le vittorie con Verona, Palermo e Sampdoria, ma glissando abilmente sulle ultime esperienze. Il Bari sembra seguire la seconda (o forse terza) fase della sua carriera: la maniacale organizzazione tattica di cui si faceva portatore non si vede, lo spirito battagliero che tutti i giocatori gli riconoscono latita e i risultati non arrivano. Iachini ha sempre vissuto le partite sull’orlo di una crisi di nervi, è il suo tratto distintivo, ma l’inquietudine che denuncia a Bari non sembra sana tensione agonistica, ma sconforto, afflizione. In 8 partite il Bari fa 2 punti e dopo la trasferta di Como, a 5 giornate dal termine e con la squadra per la prima volta in zona playout, Ciro Polito dice basta. I giornali parlano di franchi tiratori, di un gruppo di senatori che ha instradato il direttore verso l’ esonero del mister a causa di un feeling mai sbocciato.



Come in ogni stagione drammatica che si rispetti, per entrare negli abiti della Storia è necessaria l’apparizione di una figura caratteristica: l’allenatore della Primavera. Solitamente è uno yes man fedele alla società a cui viene richiesto di sopprimere le proprie ambizioni, tapparsi le orecchie e condurre la nave ad un mesto naufragio, prima di rientrare nell’ organigramma societario dalla porta di servizio. Nel caso del Bari l’identikit risponde al nome di Federico Giampaolo, fratello del più celebre Marco, che con lui condivide il culto per la difesa a 4. La società riduce all’osso le comunicazioni con la stampa, Giampaolo non viene presentato e dalla dirigenza non arriva alcun commento sulla decisione presa. Intanto la figura di Ciro Polito si fa sempre più ingombrante. In panchina, tra calciatori con la pettorina e membri dello staff tecnico in divisa sociale, spunta lui, stretto in un abito di alta sartoria intento a confabulare animatamente con chi gli è attorno.



La parabola di Ciro Polito a Bari è emblematica: arrivato nello scetticismo generale, prima costruisce con metodo una squadra vincente e poi si impone come punto di riferimento per la piazza. Ai microfoni è verace, Bari apprezza, lui gongola in una città che attendeva con ansia un condottiero a cui affidare le proprie speranze. Viene definito il garante delle ambizioni della società, non molla il timone nonostante un’estate carica di silenzi enigmatici, ma qualcosa si incrina dopo le fallimentari sessioni di mercato.



Il Bari di Giampaolo sembra partorito proprio dalla mente del direttore, che da inizio anno batteva su un’impostazione di gioco che valorizzasse gli esterni. Il 4231 iper offensivo con cui la squadra affronta il Pisa dà indicazioni contrastanti: ad un primo tempo sconnesso fa seguito una ripresa gagliarda, in cui si recupera il gol di svantaggio. Allenatore e giocatori si mostrano ottimisti: «Bisogna puntare su giocatori che mettono in difficoltà l’uomo, prima non capitava. […] Dobbiamo pensare di vincere tutte le partite, possiamo farlo» sostiene il vice capitano Maita. Poi però arriva la trasferta di Cosenza. I 4 gol incassati, il nervosismo, la rabbia che divampa nel settore ospiti: 90 minuti che condensano un’intera stagione.




Per prepare gli ultimi tre match di campionato la squadra si rintana in un hotel nella Murgia, distante dal caos della città. Il calendario recita Bari-Parma, con i ducali in procinto di festeggiare la promozione in Serie A. La gara è in programma mercoledì 1 Maggio alle 18, ma la buona notizia per il Bari arriva un’oretta prima: il Catanzaro ha sconfitto il Venezia, quindi al Parma basta un solo punto per approdare in Serie A. La partita si gioca sul filo della tensione, uno stallo alla messicana lungo 90 minuti, interrotto prima da un errore in uscita del Bari che porta al vantaggio degli ospiti e poi da un capolavoro balistico di Valerio Di Cesare. Il capitano si produce in un gol bello e disperato, un destro a giro partito dal versante sinistro dell’area di rigore, con un avversario aggrappato al braccio che provava invano a sbilanciarlo. Di Cesare esulta lanciandosi verso la panchina: ha gli occhi spiritati, sbraita, viene travolto dai compagni. Dal nugolo di corpi emerge Ciro Polito, che si aggrappa al collo del numero 6 e lo abbraccia, come se volesse assorbire un po’ della sua energia. Il Parma festeggia mentre il Bari riemerge dalla zona rossa, ma la prestazione è inquietante tanto quanto quella di Cosenza.



Il Bari è quintultimo a 37 punti, appaiato ad Ascoli e Ternana. La salvezza diretta è ormai un miraggio, ma per garantirsi l’accesso ai playout serve vincere almeno una delle ultime due partite. Il primo tentativo va a vuoto, il secondo è quello buono. Contro un Brescia rabberciato, arrivato in Puglia con la testa proiettata ai playoff da disputare, la squadra riesce a conquistare i tre punti necessari per accedere alla post season. Sibilli apre, Di Cesare chiude: il capitano vive l’ennesima partita fiaccato dalla tensione, ma quando sollecitato sulla trequarti avversaria si riscopre freddo e letale, come se non avesse mai fatto altro in carriera.



L’avversaria designata per i playout è la Ternana, che ha concluso la regular season in crescendo ma senza riuscire ad evitare uno spareggio da disputare con il vantaggio del doppio risultato a disposizione. Il Bari si ritrova dunque nella condizione opposta a quella della passata stagione: vincere per sopravvivere, senza supposti vantaggi a cui potersi appigliare. La marcia d’avvicinamento alla gara d’andata è scandita dal conto dei biglietti venduti. Le proiezioni parlano da subito di 30,000 tifosi attesi al San Nicola, ma la risposta del pubblico è ancor più sorprendente. 34,000 persone raccolte dietro una striscione evocativo esposto in Curva Nord: “ È difficile da spiegare… l’amore per la magliaâ€.



La reazione dei calciatori all’ennesima dimostrazione di supporto non è però quella attesa. Nei primi 45 minuti vagano senza meta, non hanno mordente, sembrano tutti vittime della sindrome dell’impostore: perché tutta questa gente è qui? Davvero meritiamo questo affetto? I reparti sono scollati, non ci sono le giuste distanze, e la Ternana imperversa trascinata dalla sfacciataggine dei suoi giovani. Si perde il conto delle occasioni collezionate dagli ospiti: due pali, un paio di salvataggi miracolosi di Pissardo e soprattutto un rigore sbagliato, sempre intercettato dal portiere biancorosso. Lo 0-0 a fine primo tempo è una casualità.



Le partite però, non sono mai lineari, seguono trame intricate e spesso incomprensibili. Il Bari rientra in campo con un piglio diverso, forse dato dai cambi di Giampaolo che irrobustiscono la mediana o forse dalla sensazione di essere spalle al muro. Il buon avvio di secondo tempo si traduce in gol: Nasti non spreca una percussione tambureggiante di Ricci e realizza l’1 a 0. La vittoria darebbe al Bari l’opportunità di ribaltare i rapporti di forza e presentarsi al Liberati di Terni con la possibilità di accontentarsi anche di un pareggio, ma la sfortuna, compagna fedele in una stagione maledetta, è ancora in agguato. A 8 dal termine Pereiro ancheggia al limite dell’area, mette a sedere un avversario e calcia in porta. Un tiro che parte debole, senza troppe pretese, ma che diventa imparabile dopo aver trovato nel corpo di Valerio Di Cesare una sponda perfetta.



Sugli spalti serpeggiano frustrazione e rassegnazione, la sensazione è quella di dover fare presto spazio al tiro di Pereiro nel mosaico degli orrori biancorossi. A tutto ciò si aggiunge il saluto di Valerio Di Cesare, all’ultima gara della sua carriera al San Nicola. «Non posso accettare di finire così. Perdere vorrebbe dire buttare i sei anni» dice il capitano dopo essersi concesso ad un abbraccio mai così materno della Curva Nord.



La vigilia della gara di ritorno è animata ancora una volta da Aurelio De Laurentiis, nuovamente intervenuto sulla questione Bari e multiproprietà. Il patron del Napoli parla del Bari come se fosse carta sporca, sentenzia che prima del 2028 (anno in cui cesserà la possibilità di detenere più squadre per la stessa proprietà) il Bari non sarà venduto e quindi sottintende che fino a quel momento non ci sarà l’ambizione di puntare con decisione alla Serie A. Queste parole sono solo la punta dell’iceberg di un intervento delirante, partorito dalla mente di una persona evidentemente disconnessa dalla realtà. La risposta del sindaco Antonio Decaro non si fa attendere: «La Filmauro provveda a intavolare trattative per non rimandare un passaggio di proprietà che sembra l’unica via d’uscita. […] Noi baresi preferiamo fallire di nuovo piuttosto che essere costantemente umiliati».



In questo clima da Suburra il Bari vola a Terni. Giampaolo ridisegna l’assetto della squadra ma si affida sempre ai pretoriani: per 8/11 la squadra è composta da reduci dell’11 giugno. Il Bari assorbe il prevedibile approccio aggressivo della Ternana, e, minuto dopo minuto, guadagna metri e fiducia. Una squadra fino a quel momento svagata e rattrappita si riscopre concentrata. Sibilli flirta con il vantaggio, poi Di Cesare si spalma sul palo pur di arrivare ad impattare un pallone che sorvolava la linea di porta, ma il punteggio non cambia. Il primo tempo sembra aver detto ormai tutto quando Sibilli si appresta a battere il quarto calcio d’angolo della partita del Bari. Il cross è morbido e preciso, indirizzato pochi metri oltre il dischetto dell’area di rigore. Alle spalle di Pucino che salta invano c’è Valerio Di Cesare, fresco 41enne, che legge prima dei difensori avversari la traiettoria del cross e ha il tempo per piegare il corpo e coordinarsi. La sforbiciata che ne segue è un gioiello, la dimostrazione plastica di come dalla disperazione possano fiorire capolavori. Bertold Brecht definiva sventurata una terra bisognosa di eroi, ma a Bari in questo momento serviva proprio questo: un uomo in grado di opporsi ad un epilogo che pareva già scritto.




Nel secondo tempo il Bari sembra mosso da una mano invisibile, come se il gol di Di Cesare avesse aperto una feritoia davanti agli occhi della squadra. I gol del 2 e del 3 a 0 sono quasi ridicoli per la facilità con cui vengono realizzati. Una squadra che non vinceva in trasferta da fine ottobre, che aveva chiuso il campionato con il terzo peggior attacco, potrebbe segnare 5 gol in un tempo. Benali sembra quello ammirato in A con la maglia del Pescara, Dorval e Pucino anestetizzano la fascia sinistra della Ternana e Sibilli gioca come un trequartista anni ‘80: caracollante, allo stremo delle forze, modula i ritmi, arpiona palloni sputati fuori dalla difesa, lucra falli su falli. La Ternana ha gettato la spugna da tempo quando l’arbitro decreta la fine e ne sancisce la retrocessione in Serie C. Il Bari è invece salvo dopo una stagione lacerante, vissuta con un dramma ancora da metabolizzare e il terrore di viverne uno ancora più grande.



Il futuro sarà tutto da scrivere, sia per i protagonisti di questa stagione – tra cui Di Cesare che ha già dato l’impressione di voler fare un passo indietro rispetto alla decisione di smettere -, che per la società, ora alle prese con un rapporto ai minimi storici con la piazza. Al termine di questa serata torna in mente l’appello fatto da Antonio Decaro in un incontro con i tifosi sui gradoni del vecchio stadio Della Vittoria pochi giorni dopo il fallimento: «Custodiamo questo amore, come se fosse un tesoro, come se fosse la nostra basilica, perché è parte dell’identità della nostra città». I tifosi hanno tenuto fede alle parole del primo cittadino, spingendosi anche oltre e fortificando ulteriormente il rapporto con la maglia. Chissà se adesso, nella stanza dei bottoni, qualcuno si convincerà a ricambiare l’amore della piazza o, quantomeno, a rispettarne il volere.
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mohan

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Re: Il Bari è salvo, infine

Messaggioda mohan » ven mag 24, 2024 22:08


Ultimouomo si conferma una bellissima pagina. La consiglio a chi non la conoscesse
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